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Almeno non chiamiamolo INNO DI MAMELI...

1 Luglio 2017 , Scritto da enrica bonaccorti

 I N N O  D’ITALIA

 

Da un’Idea a una Proposta 

Da un Approfondimento a una Scoperta..

 

 

Vorrei sottoporre all'attenzione delle nostre Istituzioni un tema che ho iniziato ad approfondire durante i Mondiali del 1998, quando i giornali titolavano ‘Scandalo!’ per nostri calciatori che rimanevano a labbra serrate durante l’esecuzione del nostro Inno. In quell’occasione il nostro ex presidente Ciampi espresse il suo rammarico, ma edulcorò il suo giudizio per la difficoltà del testo, e aggiunse, testuale: “Il nostro Inno, sì, è una marcetta, ma ormai quando sentiamo le prime note e quelle prime parole, Fratelli d’Italia, il mio spirito nazionale si alza automaticamente in piedi pronto a cantare con la mano sul cuore”. 

Fu esattamente questa la frase che mi fece scaturire l’idea, semplice e al tempo stesso sorprendente persino per chi l’ha pensata: se mantenendo la musica e le prime irrinunciabili parole ‘‘Fratelli d’Italia’’, si potrebbero cambiare le altre? Sì, nulla vieta di adeguarlo. In altre nazioni l’hanno fatto, Belgio e Polonia fra gli altri, ma l’esempio più forte ci viene dalla Russia, dove, nello smantellamento di tutti i simboli riconducibili al passato comunista, si era sostituito l’Inno tradizionale con uno nuovo di zecca, che non fu accettato dal popolo. Il governo decise allora di tornare a quello tradizionale, ma lasciando solo la musica e cambiando il testo adeguandolo al presente. Il popolo, già abituato a quelle note, lo approvò subito e tuttora rappresenta la nazione. Dunque si potrebbe intervenire allo stesso modo anche in Italia, sempre rispettando gli alti concetti e la grande storia che hanno portato all’indipendenza il nostro Paese. 

Come suggeriva Ciampi, non cambierei quel perfetto ‘Fratelli d’Italia’ che così positivamente ci identifica, le sole parole del testo belle e giuste, le uniche che possano stimolare il senso di appartenenza che un Inno richiede. Perché, senza arrivare a strofe che non si pronunciano mai, come “il ‘sangue polacco bevè col cosacco” oppure “i bimbi d’Italia si chiaman Balilla”, il testo del  nostro Inno non ha un solo verso che possa trasmettere un’aggregante emozione nazionale. Anzi! 

Basta pensare a quel “schiava di Roma” che anche per quanti (quanti?) hanno capito il riferimento alla Vittoria, è sempre, per chi più per chi meno, irritante. E non ci si può certo entusiasmare dichiarando ripetutamente “siam pronti alla morte siam pronti alla morte” o cantando la seconda strofa: “noi siamo da secoli calpesti e derisi”.  

Forse per questo, da quando è ‘tornato di moda', ripetiamo sempre la prima strofa al posto della seconda? Con quelle parole sarebbe più facile deprimersi che entusiasmarsi. 

Credo che da un Inno ci si debba aspettare altro. 

Ma nel nostro Paese qualsiasi proposta alternativa ha trovato silenzio, fastidio se non indignazione, e tanta ironia. Eppure c’è molto da dire, a iniziare dal titolo: quanti lo conoscono? 

Se lo si chiede, tutti rispondono 'Inno di Mameli'.

Quando comunichi che non è il vero titolo la prima reazione è di stupore, poi si azzarda ‘Fratelli d’Italia’...? Alla notizia che neppure questo è quello giusto, arriva solo un attonito silenzio. 

Davvero pochi quelli che lo conoscono: "Il Canto degli italiani” di Novaro – Mameli,  ecco il titolo esatto e sconosciuto. 

Fra l’altro mi chiedo: perché non lo si chiama caso mai 'Inno di Novaro?' cioè dell'autore della musica e non dell'autore delle parole, come è consuetudine, se non regola? 

Sarebbe come dire l’Aida di Ghislanzoni e non l’Aida di Verdi, il Flauto magico di Shikaneder, non di Mozart! I librettisti e non i musicisti!

Sembra quasi un ‘accanimento di paternità’.. e forse lo è... perché pare che il cosiddetto ‘Inno di Mameli’ non sia stato scritto da Mameli! 

Molti indizi portano a considerare che il giovane Goffredo si sia attribuito la paternità di un testo scritto dall’anziano Priore del convento di Càrcare nell’entroterra savonese, dove il ragazzo, ricercato per sommossa dopo un pestaggio con un compagno, si era rifugiato. Spunto di riflessione sono le lettere che Goffredo spedì in quei mesi dal convento all’amico Canale o alla madre, che documentano uno stile di scrittura povero, molti errori di grammatica e un autoritratto ben poco eroico: “Sono arrivato ‘morto di sogno’ ma io qui me la passo benissimo, mangio per quattro, dormo molto, non faccio nulla, penso meno, e questo è l'ideale del mio Paradiso, spero che voialtri farete altrettanto!” 

A parte i concetti non proprio eroici, questo lo stile del ragazzo Goffredo, che a 19 anni e negli stessi giorni, avrebbe scritto il nostro Inno, stile ben lontano da quello dei versi che conosciamo, in ritmo senario, con numerosi riferimenti colti di chi ha fatto studi approfonditi su secoli e secoli di storia. Un storico esperto, che a parte 'l'elmo di Scipio', riempie il testo di rimandi di grande cultura difficili da ascrivere a un ragazzo focoso di 19 anni. 

Oltre le congetture, quello che è certo è il racconto che lo stesso Michele Novaro, il musicista, fece anni dopo in occasione di una commemorazione di Mameli: il testo del nostro Inno gli arrivò proprio da quel convento di Carcare tramite Ulisse Borzino che, mentre stava andando a Torino, era passato a trovare il comune amico Goffredo. 

Questi glielo affidò chiedendogli di portarlo a Novaro 'da parte sua' e che provasse a musicarlo. Borzino trovò il ventiduenne Michele Novaro a una riunione a casa di Lorenzo Valerio, esponente dei liberali piemontesi. Appena Novaro lesse i versi, cominciò subito a comporre la musica ma “nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e per conseguenza anche sul povero foglio”. Un 'foglio' arrivato 'da parte di'. Ma scritto da..? 

Padre Atanasio Canata, il Priore del convento di Càrcare da cui era partito il prezioso povero foglio, era conosciuto proprio come erudito letterato, prolifico autore di orazioni e versi in ritmo senario che richiamano quelli del nostro inno in modo inequivocabile. “La Patria chiamò” così conclude una delle sue odi. E così lo analizza un autorevole storico contemporaneo,  il professor Aldo Mola, esperto della nostra storia risorgimentale: “Tutte le sue opere sono infuse del cristianesimo liberale di ispirazione giobertiana, lo stesso che si ritrova nell’Inno: 'l’unione e l’amore / rivelano ai popoli / le vie del Signore'. A noi rivelano che l’autore era un papista, non un rivoluzionario mazziniano”. Incredibili poi alcuni versi del Priore del convento che fanno perlomeno riflettere: “Meditai per la Patria robusto un canto / ma venali menestrelli si rapìan dell’arte il vanto / Sulla sorte dei fratelli / non profuse allor che pianto / e aspettando nel suo cuore / si rinchiuse il pio cantore” e addirittura in un appunto: “E scrittore sei tu? Ciò non mi quadra, una gazza sei tu, garrula e ladra" 

Intuibile il destinatario...  

Ma se si ripercorre la storia de “Il Canto degli italiani” emergono molte altre cose interessanti e curiose. Per esempio che già pochi mesi dopo la sua prima esecuzione, si pensò di sostituirlo: Mazzini chiese una nuova musica a Giuseppe Verdi, e pensò di affiancargli il giovane Mameli per le parole, visto il 'talento' dimostrato. Ma il testo proposto dal ragazzo Goffredo, dall’aggressivo titolo ‘Il Canto di guerra’, non fu, per usare un eufemismo, molto apprezzato, e fece la stessa fine rovente del foglio sul cembalo di Novaro, finendo, questa volta non accidentalmente, nel fuoco di un camino.  Così rimase ‘Il Canto degli Italiani’, destinato a divenire di lì a poco ‘l’Inno di Mameli’ per la morte prematura del ragazzo: ferito accidentalmente in modo non particolarmente grave a una gamba dalla baionetta di un commilitone, come egli stesso scrisse alla madre, venne curato male, si decise troppo tardi l'amputazione della gamba e morì poco dopo per la sopravvenuta infezione il 6 luglio 1849 a soli 21 anni.

Attorno a Mameli crebbe la leggenda, l'eroe morto in battaglia e il grande poeta! In due giorni diventò il campione di una realtà che non era la sua. Inno compreso.

Insomma: noi ci teniamo un Inno che non ci piace, difficile da capire e difficile da ricordare, lo chiamiamo non con il suo vero titolo "Il canto degli italiani" ma ‘Inno di Mameli’ col nome di un più che probabile falso autore, e non della musica, che di regola individua il brano, ma delle famose e fumose parole.
Mi sembra che ci sia molto su cui riflettere. 

Perché nessuno si è mai voluto far carico di un approfondimento sicuramente scomodo e impopolare? È scomoda e impopolare la verità?

Peccato, perché credo che in questo Paese ci sia un gran bisogno e una gran voglia di verità. Forse fare questa ‘rivoluzione’ intorno al nostro Inno stimolerebbe la rinascita di quell’orgoglio nazionale che dà forza e coesione ai popoli nei momenti difficili, e senza invocare né la morte né la ‘coorte’. 

Da semplice cittadina che non resiste alla passione per le sue idee e per il suo Paese, spero che qualcuno trovi il coraggio di.. avere coraggio, e affrontare una semplice verità: ci sono forti probabilità, quasi evidenze, che il nostro Inno nazionale, il cosiddetto ‘Inno di Mameli’, non sia di Mameli. Non credo sia giusto licenziare senza vaglio e approfondimento un simbolo così importante, che fuori da ogni logica, ma forse non a caso, è rimasto ‘provvisorio’ per un tempo così lungo, Ma ora, in raro accordo trasversale, la politica dichiara “viva soddisfazione per il disegno di legge Mameli”. Viva soddisfazione di essere rappresentati da un falso? Almeno fosse un capolavoro.           

Grazie per l’attenzione   Enrica Bonaccorti 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PS. Corredo la proposta di modifica del testo con un’ipotesi che - tengo a precisare - non vuole proporsi come ‘testo alternativo’, ma solo come un esempio di come si possano esprimere gli stessi concetti comprendendo ciò che si dice, e persino entusiasmandosi. 

Ma sono certa che in un Paese di poeti, oltre ai navigatori e tutti gli altri, ci siano autori ben più di me all’altezza di un progetto così significativo. Non per passare alla storia ho lanciato questa proposta, ma con la speranza di aprire un dibattito sul cosiddetto ‘Inno di Mameli’. Se è così importante come manifestano i nostri rappresentanti istituzionali, che con occhi lucidi e la mano sul cuore intonano di esser pronti alla morte, spero dimostrino questo grande amor di patria non solo nella forma, ma restituendo la dignità e l’attenzione che merita al più forte elemento simbolico che, insieme al tricolore, rappresenta l’Italia. 

 

 

L’  I  N  N  O      D E G L I      I  T  A  L  I  A  N  I

 

FRATELLI  D’ITALIA

L’ITALIA E’ QUESTA 

DAI  MARI   AI  MONTI

ALZIAMO  LA  TESTA

PERCHE’  LA  VITTORIA

E’  GIA’  NELLA  STORIA

CHI  GRANDE  E’  GIA’  STATO

PIU’  GRANDE   SARA’

 

FRATELLI    SORELLE

ORGOGLIO  D’ITALIA

CONQUISTA  DEI  PADRI

DELLA  NOSTRA  PATRIA

NOI  FIGLI  SAPPIAMO

CHE  E’  GRAZIE  AL  CORAGGIO

DI  LOTTE  LONTANE

L’ITALIA  CHE  C’E’

 

IL  CUORE  D’ITALIA

E’  SEMPRE  PIU’  FORTE. 

IN  QUALUNQUE  SORTE

NON  SI  FERMERÀ

PORTIAMO  L’ITALIA

OVUNQUE  NOI  SIAMO

E’  TUTTA  DA  AMARE

IDDIO  LA  CREÓ

                                                                                                                             enrica bonaccorti – 1998

 

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