Stimoli e ugole
Si potrebbe scrivere un saggio sulla società contemporanea con le parole delle canzoni di Jannacci, quelle recenti come quelle di mezzo secolo fa, perché lui ha sempre visto, ha sempre capito, ha sempre raccontato la realtà più invisibile. I suoi protagonisti erano il barbone, il palo della banda, il disoccupato, Vincenzina era davanti alla fabbrica già quarantanni fa.. Cantava gli ultimi, ci costringeva a voltare la testa verso di loro, li illuminava e squarciava l’indifferenza. Chissà se papa Fra conosce le parole delle sue canzoni, ma le amerebbe sicuramente, le ruberebbe per le omelie, le canterebbe forse. Perché Enzo era ateo come un santo che non va in chiesa, un cavallo che rompeva ogni passo, che rideva in faccia al traguardo, che dentro la coppa chissà cosa ci metteva. Il dottor jannacci se ne intendeva di cuore, da Barnard a Little Tony sapeva usare bisturi e microfono, ma niente miele. Caso mai il fiele che costringe a tirar fuori l’antivirus dell’intelligenza. Senza sofferenza però, sempre con il sorriso più bello del mondo, che lo faceva bello anche quand’era brutto, che accendeva quella pelle d’alabastro. Jannacci ci contagiava, ci divertiva, cantavamo con lui, poi, alla fine della canzone, pensavamo. Perché sotto le nuvole del Messico o fra le gabbie di uno zoo comunale, ci lanciava gli stimoli che danno ritmo al pensiero. E noi abbiamo bisogno di stimoli, non di ugole. Grazie Enzo, e un abbraccio a Paolo, che a un pezzo unico come te ha rubato tutti i cromosomi che poteva, forse più di 23, per quanto i vostri occhi si incontravano sul palco e in casa, nella musica e nella vita. Grazie Enzo, sei stato un regalo.