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La prossima vita mi attrezzo! (piccolo inutile sfogo)

19 Febbraio 2016 , Scritto da enrica bonaccorti

Chi invidio? I cantanti. Possono vestirsi, anzi travestirsi, come gli pare, fare i giullari, fare gli esistenzialisti, fare i matti. Coi capelli si divertono come vogliono, lunghissimi o rasati, incolti o laccati, creste di tutti i colori oppure le parrucche.. va tutto bene, sono cantanti, no? E hanno anche il diritto, non si sa perché, di mettersi gli occhiali neri sempre, sul palco e nelle interviste, di giorno e di notte. Se azzeccano una canzone vincente, poi, ci possono campare tutta la vita, e non devono imparare o inventarsi un copione ogni volta che si esibiscono, cantano i loro brani e via. Se commettono qualche stravaganza, persino illegale, lo stigma sociale è più lieve, quando non diventa addirittura un aiuto per la loro carriera. Hanno l'immunità canora. Prova che le colpe hanno pesi molto diversi a seconda di chi le commette. Ma oltre tutti questi privilegi, invidio i cantanti perché cantano. Cosa c'è di più completo e appagante per chi si esibisce su un palco... mentre canti reciti, liberi le emozioni, muovi il corpo come senti, ti esprimi interamente...niente copioni e atteggiamenti contenuti, beati loro! Soltanto un sogno ricordo nettamente, nessun altro, soloquesto è ancora preciso nella mia mente: una giornalista mi chiedeva cosa avrei voluto fare nella vita se non avessi fatto quello che ho fatto. La mia risposta, come può avvenire solo nei sogni o nei film, si tramutava direttamente nella realizzazione di quello che dicevo: sono su un palco col microfono in mano, canto a squarciagola attraversandolo a lunghe falcate tutta fasciata di pelle nera, le frange ondeggiano dalle spalle lungo le braccia fino ai polsi, e in testa tanti di quei capelli che neanche Tina Turner. Ecco quello che avrei voluto fare. Niente ti dà più libertà di esprimerti, niente ti dà più alibi per farlo come vuoi. E se non hai voce, c’è il playback. La prossima vita mi attrezzo.



























Combien de fois on m’a dit
on lie pas dans le lit
Pas possible oublier pour moi
la première fois
qu’après l’amour
j’ai eu un livre dans mes mains
A ma coté l’abat-jour
et moi impalpable
le souff
le d’une bougie

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I famosi domiciliari..

14 Febbraio 2016 , Scritto da enrica bonaccorti

Quando sento che un criminale non è in prigione per un cavillo burocratico, che non si possono tagliare certi privilegi perché vincolati a vecchie leggi, che maestre d'asilo con violenze documentate sono sul divano a casa loro, che religiosi scoperti nelle loro infamità sono stati semplicemente spostati in un'altra parrocchia, che chi ha ammazzato di botte un ragazzo in sua custodia viene assolto perché manca 'la prova regina'...che anche quando c'è, come nel caso dei maltrattamenti ai disabili registrati dalle telecamere nascoste, pare non sia sufficiente per la nostra giustizia che 'in attesa di accertamenti' (!) 'punisce' i responsabili di questi odiosi crimini con i famosi domiciliari.. Potrei andare avanti a lungo, lo sappiamo tutti. Ma quando noi cittadini ci meravigliamo che neppure di fronte all'evidenza la giustizia sia certa e veloce, ci spiegano che nelle leggi ci sono tre gradi di giudizio, che si è innocenti fino a che la tua colpevolezza non sia provata (non bastano le immagini e il sonoro?!) che c'è la legge sulla privacy oppure che certe intercettazioni non possono essere prese in esame.. tutti puntelli di democrazia, ci dicono, garanzie per noi cittadini. Anche dando fiducia alle intenzioni, se i risultati pratici sono questi forse c'è qualcosa che non va. Ma come si fa a ignorare queste 'regole democratiche'? Solo un dittatore potrebbe, e ovviamente nessuno se lo augura. Dalle nostre parti poi,mi pare di registrare insofferenza persino per il decisionismo.. Figurarsi come sarebbe accolto il reinserimento dell'istituzione del 'Dictator' così come era concepito nell'antica Roma. Era un dittatore a tempo, per sei mesi aveva poteri assoluti per risolvere i problemi, e rimaneva in carica fino a quando non avesse concluso i compiti per cui era stato eletto. Certo, sei mesi sono pochi per rimettere a posto l'Italia, ma soprattutto sarebbe difficile trovare soggetti come il dictator Cincinnato : per due volte ricoprì la carica, e quando in una di queste risolse il problema in meno di un mese, rimise il mandato subito dopo, ben prima della scadenza. Questo ci dice la storia, ma sembra fantascienza!



















































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Siamo strabici..

25 Maggio 2015 , Scritto da enrica bonaccorti

Di quante altre tragedie dovute all'alcol abbiamo ancora bisogno per dare finalmente una reale valutazione del livello di pericolosità di questa sostanza? Veramente nella classifiche scientifiche è già ai primi posti, ma la percezione sociale sembra metterlo all'ultimo. Nell'uso comune non si dice forse "una bella sbronza"? E il "buon bicchier di vino"? Si è sempre riso con simpatia di chi oscillando e biascicando dimostra di 'aver alzato il gomito' (altra definizione edulcorante) ma c'è di più: si dichiara apertamente la volontà di organizzare una festa alcolica, si confessa senza problemi di aver esagerato la sera prima, si ride mentre si racconta di quanto si sia andati fuori di testa in questa o quella occasione. Addirittura si invoca l'alcol non solo come causa,ma anche come alibi per gli errori commessi, dalle sciocchezze alle tragedie. Sai com'è..ero sbronzo.. e non servono i superalcolici, ci sono fiumi di birra dietro le devastazioni dei cosiddetti tifosi, dietro scherzi pesanti finiti in tragedia, dietro scoppi d'ira che portano a violenze incontenibili proprio perché potenziate dall'alcol. Ma noi continuiamo a sorridere alle battute di comici e ahimé anche di conduttori e conduttrici ammiccanti, siamo indulgenti verso chi è 'brillo' basta che non sia alla guida e sia maschio.. Brillo, gomito, alticcio.. neppure nelle parole c'è una condanna pesante. Adesso si maschera l'alcol chiamandolo 'sciortino', è diventata un'abitudine ritrovarsi fra giovani e giovanissimi 'a fare l'aperitivo' avvelenando anche la lingua italiana.. Pensare che se ti trovano uno spinello, e la cannabis è agli ultimi posti nelle classifiche scientifiche di valutazione di nocività, altro che 'brillo'! Sei un drogato, un pericolo per la comunità! Ma la cannabis non provoca violenza ma vaghezza! Se gli hooligans invece che bere avessero fumato, non ci sarebbe stata alcuna devastazione, caso mai non avrebbero trovato lo stadio.. Capisco che l'alcol in tutte le sue declinazioni è una solida è importante risorsa economica per il nostro Paese, ma nel solco di questa visione pragmatica, perché allora non si fa cassa legalizzando la cannabis come sta accadendo in sempre più parti del mondo civile? Solo in Colorado l'erario incassa 5 milioni di dollari al mese, e sono ormai 14 gli Stati in America, dall'Alaska a Washington DC (sì, persino intorno alla Casa Bianca!) in cui la marijuana è stata legalizzata. Forse perché da quelle parti si bada ai fatti: uno degli ultimi scientific report nell'inserto di Nature certifica che l'indice di pericolosità sociale in una scala 1/100 la pone a livello 20, mentre l'alcol arriva al livello 72! In quanto alla mortalità, In Italia ci sono almeno 30.000 morti all'anno causate dall'alcol, mentre nessuno al mondo è mai morto per la cannabis. Vorrà dire qualcosa. C'è una battuta a questo proposito: l'unico modo per morire di cannabis è che te ne cada in testa un quintale! Ma noi continuiamo a essere indulgenti da una parte e profondamente indignati dall'altra. Siamo strabici.

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Un seme dallo sterco

19 Marzo 2015 , Scritto da enrica bonaccorti

Ci sono tanti fili di diversa consistenza e di diverso colore nel mondo arabo, si sono sempre osteggiati, ognuno ha sempre cercato di tagliare l’altro, ora invece fanno matassa in nome della costruzione di uno Stato Islamico, un Califfato che riunisca tutti sotto la sharia. Che vuol dire cancellazione della storia, della donna, dei diritti, dell'arte, della libertà, della civiltà, della cultura tutta insomma. Non è un caso che il nome del gruppo nigeriano che si è recentemente affiliato all’Is sia Boko Haram, là dove Boko rimanda a book, libro, e haram racchiude tutto quello che è proibito dalla loro interpretazione dell’Islam, e in occasione dell’attentato al museo del Bardo a Tunisi, un tweet inneggiava particolarmente felice di aver colpito ‘quegli acculturati’. Se un seme può nascere da tutto lo sterco che stanno spandendo, potrebbe essere una spinta per noi a difendere, omaggiare, valorizzare finalmente la cultura. Almeno questo.

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La polverizzazione

19 Marzo 2015 , Scritto da enrica bonaccorti

È di poco fa, a oltre 24 ore dall’attentato a Tunisi, una rivendicazione da parte dell’Is, che finora aveva dato solo il suo plauso su uno dei suoi siti. Ma credo che sia un falso problema chiedere una certificazione ufficiale per questi attacchi alla civiltà, l'affiliazione è automatica. Il vero problema è che il nemico non è collocabile in una sola area, il suo territorio non ha confini da invadere perché il suo territorio è l’Islam, nell’accezione estrema distorta ed esasperata che agita le bandiere e le anime nere. C’è una polverizzazione del nemico che non permette una difesa sicura, le cellule di terroristi non hanno bisogno di un 'fonogramma' che dia un placet all’operazione, saranno comunque festeggiati, anche di più in caso di morte, a cui vanno incontro con il loro paradiso pieno di vergini negli occhi. Dunque non serve il comando e non c’è la paura della morte, sono sparsi ovunque e pronti a immolarsi. Non è un'analisi tranquillizzante, ma bisogna prendere atto della realtà per capire come contrastarla.

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Le ferme condanne

18 Marzo 2015 , Scritto da enrica bonaccorti

A me delle ferme condanne e dello sdegno importa poco. Che cosa aspettano i Grandi Capi, i responsabili del cosiddetto mondo libero, le nazioni Unite e anche quelle disunite ma coinvolte, a mettersi intorno a un tavolo, in video conferenza o come vogliono, e prendere di petto una situazione che avrebbero dovuto affrontare da tempo e che è tuttora sottovalutata? Certo che è complicata, ma se si continua con le analisi senza arrivare a una sintesi, oltre a lasciare spazio e tempo alle conquiste del cosiddetto Stato islamico, si manda anche un messaggio perdente a un mondo manicheo che prevede solo il bianco o il nero. A una propaganda così forte, non si può rispondere con i distinguo e le vibranti indignazioni. Forse dobbiamo semplificare anche noi: fra la padella e la brace ci hanno insegnato che è meglio la padella, no? Per volare un po’ più alto, Churchill si alleò con Stalin per contrastare Hitler.. giusto? Credo sia arrivato il  momento di fare tesoro delle esperienze degli ultimi anni da quelle parti, che almeno dagli errori si impari, e fare fronte comune insieme a Tutti coloro che contrastano questa follia. Voglio la politica, non il politically correct.

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8 marzo mancato

10 Marzo 2015 , Scritto da enrica bonaccorti

Forse quest’anno l’8 marzo ci siamo fatte sfuggire un’occasione. Non solo noi, soprattutto la politica. Bisognava occupare ogni spazio, in televisione, sui giornali, nelle piazze, e dedicare questa giornata alle donne curde, afghane, siriane, a tutte quelle che combattono ogni momento della loro vita per la vita, anche mentre io sto scrivendo, anche mentre voi state leggendo. Donne rapite, stuprate, vendute, lapidate, umiliate, obbligate a cancellarsi, a nascondersi da capo a piedi, a cui è impedito leggere, studiare, guidare, uscire da sole, sposarsi liberamente, rifiutare un marito e persino uno stupro. È sulle donne che una parte del mondo sta infierendo e mostrando la sua aberrazione, è dalle donne che sarebbe stato bello partire per rispondere a bandiere nere come la loro anima. Avrei voluto vedere le strade invase dai cortei come per l’aborto o il divorzio quarant’anni fa. La politica non ci ha pensato, ma neanche noi.

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La civiltà offesa

28 Febbraio 2015 , Scritto da enrica bonaccorti

Mi sento quasi in colpa per quanto soffro, ma le ripetute notizie e addirittura le immagini dei fanatici terroristi dell'Is che distruggono i reperti archeologici più antichi del mondo, mi fa disperare come mai avrei immaginato. Ho provato a chiedermi perché, in fondo non esce sangue quando distruggi una statua, nessuna madre piange, nessun bambino resta orfano. Eppure devo cambiare canale quando il Telegiornale dà queste notizie e queste immagini, mentre continuo a seguire le tragedie inferte agli esseri umani, bruciati e decapitati. Che cosa vuol dire? Siamo purtroppo più abituati alla crudeltà che uccide uomini donne e perfino bambini, abbiamo tutti negli occhi le immagini dei forni crematori,  di impiccagioni feroci, di uomini in fila pronti a essere fucilati come ora sgozzati.. ma l'unico accanimento contro 'le cose' che io ricordi è stato contro le statue dei dittatori, o il rogo di libri dei nazisti. I quali le opere d’arte le rubavano, ma non le distruggevano. E in quelle statue si continuava  a colpire Saddam o Lenin o Mussolini o Ceausescu, mentre qui si vuole distruggere la civiltà nel senso più plurale e condiviso. È un patrimonio culturale di tutti quello che stanno devastando, sono le nostre foto di famiglia, gli oggetti di casa che stanno distruggendo, i nostri diari che stanno bruciando. A ogni notizia è come quando trovi casa devastata dai ladri, profanata nella tua intimità, e pensi a quelle cose per te uniche che non ritroverai più, preziose oltre ogni prezzo. Come quello che stanno distruggendo. È la perdita d'identità il dolore più profondo.  

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Chiamarsi Ariel

16 Febbraio 2015 , Scritto da enrica bonaccorti

Quando aspettavo mia figlia, non c’erano ancora gli strumenti per sapere il sesso del nascituro, dunque i nomi ipotizzati nell'attesa si declinavano sia al maschile che al femminile.  Avendo escluso quelli di famiglia, ero alla ricerca di un nome per il lui o la lei che stava arrivando, e mi sembrò di averlo trovato in ‘ARIEL’.  Sarebbe andato bene fra l’altro sia per un maschio che per una femmina, evocava lo spirito buono dell’angelo della  Tempesta , e un angelo non ha sesso, e la Sirenetta era ancora di là da venire.. Insomma, mi piaceva e mi sembrava il nome perfetto. Solo a me però. Fra le varie opposizioni familiari, mi colpì una riflessione di mia madre, persona battagliera, sempre solidale con le minoranze, quasi rivoluzionaria. Ma in quell’occasione mi disse: “Attenta a non dare troppo peso a tuo figlio o figlia che sarà, con questo nome. È un nome ebraico, potrebbe portare problemi”. Ricordo il mio stupore, eravamo a metà degli anni settanta, possibile ci fosse ancora questo timore? Forse per chi come mia madre aveva attraversato il terribile periodo delle leggi razziali, delle persecuzioni, la seconda guerra mondiale, le ferite erano ancora vive, pensai.. comunque alla fine andai sull’agenda, cominciai a sfogliarla dal 1° gennaio in poi, e già al 1° febbraio trovai una mai prima sentita ‘santa Verdiana’ che mi colpì. Nacque femmina e la chiamai Verdiana. Mi è tornato in mente in questi giorni, vedendo lo scempio del cimitero ebraico, sentendo di tanti ebrei che lasciano la Francia, minacce, attentati, morti.. Forse aveva ragione mia madre? Eppure io sono sempre stata orgogliosa che il cognome di mia nonna fosse Salomone e mio padre si chiamasse Ettore Abramo. Dal mio punto di vista squisitamente laico, mi è sempre sembrato un arricchimento. 

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Chiamarsi Ariel

16 Febbraio 2015 , Scritto da enrica bonaccorti

Quando aspettavo mia figlia, non c’erano ancora gli strumenti per sapere il sesso del nascituro, dunque i nomi ipotizzati nell'attesa si declinavano sia al maschile che al femminile.  Avendo escluso quelli di famiglia, ero alla ricerca di un nome per il lui o la lei che stava arrivando, e mi sembrò di averlo trovato in ‘ARIEL’.  Sarebbe andato bene fra l’altro sia per un maschio che per una femmina, evocava lo spirito buono dell’angelo della  Tempesta , e un angelo non ha sesso, e la Sirenetta era ancora di là da venire.. Insomma, mi piaceva e mi sembrava il nome perfetto. Solo a me però. Fra le varie opposizioni familiari, mi colpì una riflessione di mia madre, persona battagliera, sempre solidale con le minoranze, quasi rivoluzionaria. Ma in quell’occasione mi disse: “Attenta a non dare troppo peso a tuo figlio o figlia che sarà, con questo nome. È un nome ebraico, potrebbe portare problemi”. Ricordo il mio stupore, eravamo a metà degli anni settanta, possibile ci fosse ancora questo timore? Forse per chi come mia madre aveva attraversato il terribile periodo delle leggi razziali, delle persecuzioni, la seconda guerra mondiale, le ferite erano ancora vive, pensai.. comunque alla fine andai sull’agenda, cominciai a sfogliarla dal 1° gennaio in poi, e già al 1° febbraio trovai una mai prima sentita ‘santa Verdiana’ che mi colpì. Nacque femmina e la chiamai Verdiana. Mi è tornato in mente in questi giorni, vedendo lo scempio del cimitero ebraico, sentendo di tanti ebrei che lasciano la Francia, minacce, attentati, morti.. Forse aveva ragione mia madre? Eppure io sono sempre stata orgogliosa che il cognome di mia nonna fosse Salomone e mio padre si chiamasse Ettore Abramo. Dal mio punto di vista squisitamente laico, mi è sempre sembrato un arricchimento. 

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